La mia generazione si e’ formata, e’ cresciuta, ha studiato in un periodo in cui la contrapposizione in ideologie politiche era un modus vivendi; o si era, e si pensava, in un modo, o nell’altro… senza sfumature o possibilità di mediazione. Anche l’abbigliamento denotava l’appartenenza: se l’Eskimo e la borsa di Tolfa erano accessori tipici dei “compagni”, i camperos e i jeans a tubo erano indossati dai “camerati”…; anche la camicia fuori dai pantaloni era appartenenza: amico o nemico. E questa contrapposizione socio-politica non si limitava all’ambito cittadino e nazionale, anzi si radicalizzava in Europa tra blocco sovietico e blocco occidentale.
La quotidianità, le esperienze, la storia, sembravano allontanare irrimediabilmente quello che appariva il GIARDINO OCCIDENTALE, liberale, democratico e ricco, dall’Est europeo statalista e oppressivo. O, almeno, così pensavo allora. Diventando “ometto” e mono-neurone, considero oggi l’unica reale contrapposizione, non quella politica o economica, significative, certo, ma non fondamentali nel destino degli uomini, bensì quella che acuisce il divario tra gli onesti e i furfanti, tra chi detiene il potere per sé e chi lo subisce, tra chi si arricchisce, sfruttando, e chi cerca di arrivare alla fine di ogni giornata, con il necessario. Niente più blocchi sovrastrutturali, solo persone. Io sono istintivamente attratto dalla gente che socializza, solare, cui strappare un sorriso anche se sai che passerà la notte su una panchina del parco... E perciò fotografo.
Gian Paolo Zaccaria
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